Delegazione dell'Unione Astrofili Italiani

per la Provincia di Trieste

"VIAGGIO TRA LE STELLE": VEGA

Paolo Forti (Centro Studi Astronomici Antares Trieste) • 17 agosto 2022

Segreti e curiosità delle stelle più salienti visibili ad occhio nudo e non solo...

Volgendo lo sguardo verso lo zenit nelle serate di questo periodo, noteremo la presenza di una luminosissima stella dal delicato colore bianco-azzurrini: è Vega (α Lyrae), la stella più brillante di Lyra e quinta più luminosa dell’intera volta celeste. Nota per costituire uno dei vertici dell'asterismo chiamato “triangolo estivo” assieme a Deneb (α Cygni) e Altair (α Aquilae), è anche la seconda più luminosa nell'emisfero celeste boreale dopo Arcturus (α Bootis). Il suo nome proprio - noto ben oltre l'Astronomia - deriva dal termine arabo “al-nasr al-waqi”, “l’aquila planante”. Anche Vega, come il Sole, è una stella nana di sequenza principale; di classe spettrale A0 V, ha un diametro 2,5 volte più grande della nostra stella (la quale, lo ricordiamo, col suo diametro pari a 1.400.000 km supera di 109 volte il diametro del nostro pianeta).


Scomposta allo spettroscopio, bianca luce di Vega ha permesso agli astronomi di determinare che la stella ruota molto velocemente; all’equatore, infatti, si raggiungerebbe una velocità di rotazione di quasi 274 km/s ovvero cento volte più rapida di quanto accade all’equatore del Sole: Vega compie una rotazione completa in sole 17 ore, al contrario della nostra stella che impiega quasi un mese! L'elevata rotazione di Vega le fa assumere un curioso aspetto schiacciato: il raggio polare è circa 2,4 volte quello del Sole mentre quello equatoriale 2,8 volte maggiore. A occhio nudo, nulla di tutto questo è visibile in quanto Vega, come tutte le stelle, appare solo un punto di luce; Vega rivolge proprio nella nostra direzione uno dei suoi poli quindi, dal nostro punto di vista, apparirebbe comunque tonda: pur ingrandendo a dismisura l’immagine della stella con un interferometro, non potremmo apprezzarne la forma ovalizzata. Le ragioni di questa curiosa caratteristica sono certamente legate ai processi che hanno portato alla nascita della stella, circa 500 milioni di anni fa.


Anche la temperatura superficiale della stella varia tra le zone polari e quelle equatoriali: le prime, significativamente più calde (10.000 K) delle seconde (8.000 K); in tali queste condizioni, l’idrogeno alla superficie emette luce di un bel colore bianco-azzurrino: una sfumatura che si nota anche a occhio nudo da 25 anni-luce, la distanza di Vega dal Sistema Solare. Tenendo conto delle sue dimensioni e temperatura alla superficie, la luminosità intrinseca di Vega risulta 37 volte maggiore di quella del Sole, rispetto al quale ha massa doppia. Anche la luminosità di Vega sembra evadere dalla norma: la stella è, infatti, una sospetta variabile del tipo δ Scuti, manifestando variazioni di modesta ampiezza, di pochi centesimi di magnitudine, ogni circa 4,56 ore.


Vega detiene alcune interessanti curiosità. E’ stata la prima stella ad essere fotografata, nella notte tra il 16 e il 17 luglio 1850. L’astronomo americano William Cranch Bond e il pioniere del dagherrotipo, John Adams Whipple, la ripresero utilizzando il telescopio rifrattore da 38 cm di diametro dell’Harvard College Observatory, in Massachusetts. Un’opera d’arte e, allo stesso tempo, un grande risultato scientifico e tecnologico: finalmente, l’astronomo non doveva più basarsi sulle sue impressioni per misurare la brillantezza di un astro ma poteva registrarle su un supporto fisico. Vega divenne presto la stella standard per le misure fotometriche, al fine di stimare la luminosità di altre stelle. Qualche anno dopo, nel maggio del 1872, un altro astronomo americano, Henry Draper, ne fotografò anche lo spettro grazie a un prisma collegato a un telescopio riflettore da 70 cm di apertura.


Come già accaduto in passato, nel tempo Vega diverrà la futura “stella polare”. L’asse di rotazione della Terra non punta sempre verso la stessa zona di cielo ma si muove descrivendo un cono immaginario; questo moto, detto di precessione dell’asse terrestre, fa sì che la proiezione del polo nord celeste passi nei pressi di diverse stelle: alcune più luminose, altre meno. Se oggi Polaris (α Ursae Minoris), l'attuale “stella polare”, è situata a circa 1° di distanza dal polo nord celeste, in futuro Vega lo raggiungerà a circa 5°: meno prossima, vero, ma molto più brillante. Quando capiterà? Non prima del 13.700...pazienza, c’è ancora molto da attendere! Ma attenzione: tale circostanza, come detto, è già capitata in passato (poiché il moto di precessione, seppur con qualche piccola variazione, si ripete nel tempo): Vega fu la stella polare 13.700 anni fa, raggiungendo la minima distanza dal polo nord celeste nel 11.680 a.C. All’epoca, Vega era appena più lontana dal Sistema Solare rispetto ad oggi; certamente, i nostri antenati del Neolitico l’avranno vista leggermente meno luminosa.


(Image credits: Paolo Forti)

Autore: Stefano Schirinzi (Centro Studi Astronomici Antares Trieste) 28 settembre 2022
Situata in Sculptor, IC5332 è una bellissima e luminosa galassia a spirale vista esattamente di fronte, lontana circa 30 milioni di anni-luce dalla nostra. Sorprendenti dettagli erano stati già messi in evidenza dalla splendida immagine (a sx) ripresa dalla camera Wide Field 3 installata sul telescopio spaziale Hubble (NASA/ESA): tale strumento, oltre a produrre immagini eccellenti nel visibile, estende la propria capacità nel riprendere anche il vicino UV e il vicino IR. Nella ripresa di HST, si rende visibile la netta differenziazione tra stelle giovani, presenti nel disco della galassia, e quelle vecchie, risiedenti nella regione centrale della galassia e nel suo alone; ben discernibili anche le numeroso associazioni OB, composte da luminosissime e caldissime stelle azzurre nate da densi apparati nebulari sparse nelle braccia a spirale. IC5332 è stata ripresa anche da James Webb Space Telescope attraverso la camera MIRI (Mid-Infrared Instrument), che osserva nel medio infrarosso tra 5 µm e 28 µm. Il medio infrarosso è incredibilmente difficile da osservare dalla Terra poiché gran parte di queste lunghezze d'onda viene assorbito dall'atmosfera terrestre ( ...e il calore della stessa atmosfera terrestre complica ulteriormente le cose ): mentre Hubble non ha potuto osservare nel medio infrarosso in quanto i suoi specchi non erano abbastanza freddi, MIRI dispone di un sistema di raffreddamento atto a garantire che i suoi rivelatori siano costantemente mantenuti alla temperatura di -266° C ovvero solo 7 K al di sopra dello 0 assoluto. Nette ed immediatamente evidenti sono le differenze tra queste due immagini riprese nello stesso soggetto. Mentre in quella di HST (a sx) regioni scure sembrano separare le braccia a spirale della galassia, l'immagine di JWST (a dx) mostra un enorme groviglio dovuto alla grande quantità di polveri presenti in tali strutture, ricalcandone la forma; la polvere interstellare, infatti, non disperde luce infrarossa e si rende qui ben visibile.  Prestando attenzione, è possibile notare come tali polveri circondino un fittissimo numero di aree circolari, simili a buchi: si tratta, probabilmente, di aree dove la polvere è stata radialmente spazzata, addensandosi ai bordi di tali bolle, dall'esplosione di supernovae e ipernovae. (Image credits: ESA/Webb, NASA & CSA, J. Lee and the PHANGS-JWST and PHANGS-HST Teams)
Autore: Stefano Schirinzi (Centro Studi Astronomici Antares Trieste) 28 settembre 2022
Tra i circa 25.000 NEO conosciuti - corpi minori del Sistema Solare quando la cui orbita può intersecare quella della Terra - circa 2.000 di questi oggetti sono ritenuti "oggetti potenzialmente pericolosi" per il nostro pianeta; particolarità che accade quando quando la distanza minima tra questi oggetti e l’orbita terrestre scende al di sotto di di 0,05 UA (l'equivalente di circa 7,48 milioni di km). Anche se tale valore, almeno a prima vista, può apparire enorme, le dinamiche gravitazionali che possono interferire su piccoli corpi al di sotto di quella soglia hanno la capacità di portare, a tutti gli effetti, piccoli asteroidi (o anche comete) ad impattare contro la Terra. Cosa fare, nel malaugurato caso in cui tale prospettiva dovesse accadere? I film di fantascienza hanno più volte presentato scenari apocalittici di questo tipo presentando, parimenti, anche l'unica idea che, al momento può essere realizzata nella realtà: quella di deviare la loro orbita dal potenziale impatto contro il nostro pianeta. In linea teorica, sono diversi i metodi che potrebbero indurre un asteroide a "spostarsi", quel poco che basta; negli ultimi anni, la NASA ha sviluppato la missione DART (acronimo di Double Asteroid Redirection Test), atta a valutare l'effetto di un "impattatore" indirizzato su un piccolo asteroide. E l'esperimento è avvenuto proprio ieri: precisamente, sull'asteroide 65803 Dimorphos, un oggetto dal diametro indicativo di 160 m, situato in orbita attorno al più grande 65803 Didymos (largo indicativamente 780 m), con il quale forma una cosiddetta "coppia binaria" di asteroidi. DART è stata lanciata tramite vettore SpaceX il 24 novembre 2021 ed ha impattato su Dimorphos ad una distanza di "soli" 11 milioni di chilometri dalla Terra. Poco prima dell'impatto, la camera "Didymos Reconnaissance and Asteroid Camera for Optical Navigation" (DRACO), installata sulla sonda kamikaze, è riuscita a catturare la sequenza di immagini che qui presentiamo: inizialmente, sia Didymos che il più piccolo Dimorphos si rendono visibili mentre alla fine, man mano che DART si avvicina sempre più alla sua superficie, Dimorphos riempie tutto campo visivo. L'ultima immagine "completa" dell'asteroide è stata ripresa da un'altezza di circa 12 chilometri dalla superficie e solo 2" prima dell'impatto, prodotto alla notevolissima velocità prossima ai 23.000 chilometri/ora: qui, l'area dell'asteroide visibile occupa circa 31 metri di lato. Solo 1 secondo prima dell'impatto, DART ha inviato l'ultima ripresa, che appare solo parziale in quanto durante l'invio dei dati verso la Terra, la sonda si è schiantata: qui, DART si trovava a 6 chilometri sulla superficie di Dimorphos e l'area visibile occupa circa 16 metri. La NASA ha assicurato che il test è riuscito, dando per probabile una deviazione, pari all'1%, dell'orbita di Dimorphos attorno a Didymos (i dati, ancora in acquisizione, verranno meglio analizzati nei prossimi giorni); inoltre, l'impatto e il suo effetto sono stati filmati dalle telecamere del satellite LiciaCube (Agenzia Spaziale Italiana). Parallelamente, anche i telescopi spaziali James Webb (NASA/ESA/CSA) e Hubble (NASA/ESA) sono stati puntati su Didymos per monitorare quanto accaduto. La luce solare riflessa dal pennacchio di detriti sollevati dall’impatto è stata invece già osservata dai telescopi del progetto ATLAS (Asteroid Terrestrial-impact Last Alert System) installati alle Hawaii. (Image credits: NASA)
Autore: Stefano Schirinzi (Centro Studi Astronomici Antares Trieste) 21 settembre 2022
Dopo essere stati ripresi dal veloce passaggio della sonda robotica Voyager 2 nell'Agosto 1989, anche il telescopio spaziale Hubble riuscì a riprendere il sistema di anelli di Nettuno assieme ad alcuni dei suoi satelliti minori Ma questa ultima immagine, diciamolo pure, batte tutte le precedenti: ed è, ancora una volta, James Webb Spece Telescope, il protagonista, che realizza la prima ripresa di sempre degli oscuri anelli in orbita attorno al gigante blu in luce infrarossa. Gli anelli di Nettuno sono costituiti da polveri molto tenui, che lo rendono simile al sistema di anelli in orbita attorno a Giove. Queste polveri sono poco visibili a causa della presenza di composti del carbonio, dal colore molto scuro, derivanti dall'impatto della radiazione solare con il metano solido: esattamente a quanto rilevato per gli anelli di Urano. Mai, prima d'ora, era stata ottenuta un'immagine così nitida degli anelli di Nettuno, tenendo conto anche dell'enorme distanza del pianeta gigante, situato ad oltre 4,3 miliardi di chilometri dalla Terra o, se vogliamo, a 4,5 ore-luce! Altra cosa davvero emozionante: l'azzurra stella visibile sopra Nettuno...non è una stella bensì il suo enorme satellite Tritone! Dal momento in cui il suolo di Tritone è ricoperto da azoto congelato, questo riflette il 70% della luce solare, portando così il grande satellite ad apparire luminoso in questa ripresa di Webb. La più bella caratteristica di Nettuno è il suo colore blu, causato dal metano presente nella sua atmosfera che assorbe tutta la parte rossa della luce solare: ma poiché lo strumento NIRCam lavora su lunghezze d'onda comprese tra 0,6 μm e 5 μm, ecco che gigante blu in questa ripresa non appare poi...così blu. Poiché il metano assorbe gran parte della luce rossa ed infrarossa, il pianeta appare piuttosto scuro, dove invece risaltano nubi ad alta quota nella sua atmosfera. Nell'immagine si rendono perfettamente visibili anche altre lune di Nettuno. (Image credits: NASA, ESA, CSA, STScI)
Autore: Stefano Schirinzi (Centro Studi Astronomici Antares Trieste) 21 settembre 2022
La conosciamo tutti per la sua spettacolarità, l'abbiamo sempre vista ovunque, ripresa in differenti modalità, da telescopi professionali e amatoriali che ne mettevano sempre in evidenza il suo bellissimo aspetto di galassia a spirale vista quasi esattamente di profilo, con tanto di banda di polveri equatoriale. Ma nessuno ha mai visto M104, la "galassia sombrero" con le sue enormi, immense code (costitute essenzialmente da stelle e gas) come in questa magnifica foto ripresa dall'astronomo non-professionista Utkarsh Mishra, un giovane ragazzo indiano dedito alla fotografia astronomica: il primo ad aver realizzato questa storica ripresa! Le lunghe code che sembrano avvolgere la galassia e il suo immenso alone - anche questo, mai visto così esteso! - sono state prodotte quasi sicuramente da fenomeni di collisione e fusione galattica: una, o forse più galassie di più piccole dimensioni e massa ne fecero le spese, passate troppo vicine alla bella spirale che ha provveduto a deformarle per poi sfasciarle del tutto. Creando, così, le spettacolari code qui visibili. Considerando che il diametro della parte divisile di M104 è stimato in circa 50.000 anni-luce, la struttura a guscio allungata che sembra avvolgere la galassia dovrebbe estendersi per oltre 300 mila anni-luce.  Simili strutture le ritroviamo anche nel vicinato della Galassia: il "Magellanic stream", il "Sagittarius stream" ed altri ponti di stelle e materia di minore entità sono infatti residui che testimoniano quanto dinamici siano gli incontri tra galassie di diverse masse e dimensioni; si ritiene che molti degli stessi ammassi globulari in orbita attorno alla Via Lattea, molti dei quali sembra siano dotati di altrettanti simili ponti di stelle e gas, siano ciò che resta di piccole galassie che hanno subito lo stesso destino. A lato della ripresa originale, una nostra elaborazione che mette ancor più in evidenza l'impressionante struttura ad anello assieme al vastissimo alone della galassia M104. (Image credits: Utkarsh Mishra Michael Petrasko, Muir Evenden, Team Insight Observatoory)
Autore: Stefano Schirinzi (Centro Studi Astronomici Antares Trieste) 20 settembre 2022
Questa stupenda ripresa, ad opera bravissimo fotografo Stan Volskiy, mette in evidenza l'incredibile quantità di " Integrated Flux Nebulae " (o IFN), enormi filamenti di idrogeno che vengono illuminati non per eccitazione termica, indotta da calde stelle (come accade alle nebulose ad emissione) quanto per riflesso da parte della luminosità globale della Galassia intera. A causa della loro bassissima luminosità superficiale, che ne ha permesso di rilevarle solo in anni recenti grazie al progresso dei sensori di ripresa, tali sistemi sono ancora in gran parte sconosciuti risultando, complessivamente, poco studiati. Per ottenere questa stupefacente risultato, Stan Volskiy ha ripreso il cielo australe (in LRGB e con l'utilizzo di un filtro H-alpha) attraverso un obiettivo da 200 mm ad F/2 durante 97 notti in 14 mesi, acquisendo 223 ore totali di ripresa. Oltre alle IFN qui visibili, la foto si rende spettacolare anche per l'enorme estensione delle due galassie Grande e Piccola Nube di Magellano: sulla prima, in particolare, ben visibile l'andamento a spirale delle braccia di questa galassia a spirale barrata. Dobbiamo dire che davvero poche volte questi due sono stati visti così luminosi e vasti!  La stella più luminosa presente nel campo, in basso a dx, è l'azzurra Achernar (α Eridani) mentre l'oggetto di apparenza stellare situato sotto la Piccola Nube di Magellano è il luminoso ammasso stellare di tipo globulare 47 Tucanae. (Image credits: Stan Volskiy)
Autore: Stefano Schirinzi (Centro Studi Astronomici Antares Trieste) 19 settembre 2022
A 32 anni dal lancio, il telescopio spaziale Hubble (NASA/ESA) continua a regalare stupefacenti immagini che rivelano inaspettate proprietà tra gli oggetti analizzati dai team di ricerca. Di recente, lo strumento Wide Field Camera 3 ha ispezionato l'oggetto IRAS 05506+2414 , situato in Taurus e lontano ben 9.000 anni-luce dal Sistema Solare. Scoperto nel 1983 dal satellite IRAS attraverso riprese effettuate nell'infrarosso, si tratta di una giovane e massiccia protostella, immersa in una nube di polveri e gas. Solitamente, stelle di questo tipo incanalano il materiale residuo della nebulosa da cui sono nate in getti diametralmente opposti, verso lo spazio esterno. Nel caso di IRAS 05506+2414 si nota, invece, una struttura a mo' di ventaglio (visibile a dx), costituita da gas sembra allontanarsi a velocità prossima ai 350 chilometri al secondo. Si ritiene che la struttura a ventaglio possa essere stata prodotta dal passaggio di una stella esterna all'interno del sistema di stelle in formazione di IRAS 05506+2414: evento che sicuramente ha deformato e forse interrotto la formazione di ulteriori stelle e, forse, anche di un sistema planetario. Stando così le cose, sarebbe questo il secondo caso noto dopo quello della stella variabile Z Canis Majoris . (Image credits: ESA/Hubble & NASA, R. Sahai)
Autore: Stefano Schirinzi (Centro Studi Astronomici Antares Trieste) 8 settembre 2022
30 Doradus è il nome con il quale dai cartografi celesti del XIX secolo venne identificata una stella presente nella "Grande Nube di Magellano" che, a differenza delle altre, non appariva puntiforme, netta, bensì sfocata. Questo è, infatti, l'aspetto di quella che è il più vasto complesso di nubi di gas e polveri dell'intero gruppo locale di Galassie: stiamo parlando della nota Soprannominata la "nebulosa tarantola", nomignolo a questa affiliato a causa dei numerosi filamenti con le quali appariva, e ancora oggi appare, all'osservazione diretta effettuata con piccoli e grandi telescopi. La densità dell'idrogeno e di altri gas è tale che in tale nebulosa si sviluppano intensi episodi di formazione stellare, che danno origine a stelle molto massicce. Alcune di queste qui rilevate, anzi, figurano tra le più massicce stelle ad oggi conosciute. L'ultima immagine rilasciata dal team del James Webb Space Telescope ritrae proprio l'area centrale di questo immenso complesso nebulare, il cui diametro di estendersi quasi per 3.000 anni-luce da un capo all'altro; giusto per avere un'idea su questo "mostro" di cui qui parliamo, se la nebulosa tarantola fosse situata alla stessa distanza della nota "nebulosa di Orion", lontana circa 1.340 anni-luce dal Sistema Solare, la sua luminosità sarebbe tale da proiettare ombre alla superficie del nostro pianeta, coprendo un'area nel cielo grande svariate volte il diametro apparente della Luna piena! Nella stupenda immagine di JWST, è ben visibile la grande "cavità" situata all'interno della di questa nebulosa: un vuoto apparente che creato dalla potentissima radiazione delle giovani, calde e massicce stelle che costituiscono il superammasso stellare R136, visibile al centro della ripresa. Membro di questo gruppo stellare è R136a1, una tra le stelle più massicce e più luminose conosciute, la cui massa e luminosità sono rispettivamente in 215 e - occhio! - 6.200.000 volte i corrispettivi solari! Torneremo a parlare su questa stella in un altra pubblicazione. Per quanto riguarda la nebulosa visibile in questa immagine, solo le sue aree circostanti più dense riescono a resistere, in un certo senso, all'erosione dei potentissimi venti stellari emessi da queste formidabili stelle; dal gas e dalle polveri che vengono così compresse, nascono nuove protostelle le quali, alla fine, emergeranno come luminosissime stelle che, a loro volta, continueranno a modellare la struttura della nebulosa. L'immagine è stata ripresa dallo strumento Near-Infrared Camera (NIRCam), principale camera di JWST che riprende la gamma di lunghezze d'onda in infrarosso tra 0,7 e 4,8 micrometri, adiacente alle frequenze della luce visibile. Dal momento in cui il nostro occhio non è assolutamente in grado di rilevare la parte infrarossa dello spettro elettromagnetico, al fine di avere un'idea di come appaiano questi oggetti si ricorre all'espediente di attribuire determinati colori alle lunghezze d'onda dei filtri utilizzati dai sensori installati sul telescopio spaziale: il colore blu è stato quindi attribuito al filtro F090W, che riprende alla lunghezza d'onda di 0,9 µm; il verde al filtro F200W, che lavora a 2,2 µm; il rosso al filtro F444W, che lavora a 4,4 µm; infine, il rosso cupo al filtro F470W, che lavora a 4,7 µm, lunghezza d'onda alla quale emette l'idrogeno molecolare. A lunghezze d'onda maggiori, quelle tra 5 a 28 µm catturate dallo strumento Mid-Infrared Instrument (MIRI), JWST è riuscito a svelare una visione ancora diversa rispetto a quella già affasciante di cui abbiamo parlato sopra: nell'immagine che pubblichiamo al centro di questa pagina, le giovani e stelle calde supermassicce, le componenti del superammasso stellare R136, svaniscono in brillantezza in quanto a tali lunghezze d'onda risaltano i gas incandescenti e le polveri. Cosa poco nota, l'abbondante presenza di idrocarburi contribuisce ad illuminare le nubi di polvere, che qui appaiono di colore blu e violaceo (Image credits: NASA, ESA, CSA, STScI, Webb ERO Production Team)
Autore: Jan Pohlen (Centro Studi Astronomici Antares Trieste) 28 agosto 2022
Segreti e curiosità delle stelle più salienti visibili ad occhio nudo e non solo...
Autore: Stefano Schirinzi (Centro Studi Astronomici Antares Trieste) 27 agosto 2022
Il transito di un esopianeta sul disco della propria stella madre può fornire precise indicazioni sulla composizione della sua atmosfera. Infatti, dal momento in cui la presenza di gas di diverso assorbe diverse combinazioni di colori, piccole differenze di luminosità rilevate su un ampio spettro di lunghezze d'onda forniscono l'opportunità di poter sondare le atmosfere di questi lontani pianeti. Qui, una serie di curve di luce riprese dallo strumento Near-Infrared Spectrograph (NIRSpec) installato su JWST mostra il cambiamento di luminosità di tre diverse lunghezze d'onda (=colori) della luce della stella WASP-39 - distante 700 anni-luce dal Sistema Solare - colte proprio durante il transito del suo pianeta; evento accaduto lo scorso 10 luglio 2022. WASP-39b è un gigante gassoso del tipo "gioviano caldo", con massa circa 0,28 volte quella di Giove e un raggio 1,27 volte quello del gigante del Sistema Solare; tale esopianeta orbita attorno alla sua stella in un orbita veloce, lunga appena 4 giorni. Ebbene, nello spettro dell'atmosfera dell'esopianeta (immagine sopra inserita, sotto la prima), l'evidente picco compreso tra 4,1 e 4,6 micron è prodotto dall'anidride carbonica: e questa è, in assoluto, la prima la prima chiara e dettagliata prova di CO2 in un pianeta al di fuori del Sistema Solare. In precedenza, su questo stesso pianeta i telescopi spaziali Hubble e Spitzer (NASA), avevano rivelato la presenza di vapore acqueo, sodio e potassio nell'atmosfera del pianeta. Poiché le molecole di CO2 costituiscono una sorta di tracciante nella formazione dei pianeti, misurandone con attenzione le caratteristiche è possibile determinare quanto materiale solido rispetto alla controparte gassosa venne utilizzato dal tale gigante gassoso durante la sua formazione: studiare la composizione dell'atmosfera di un esopianeta racconta la sua origine e la sua evoluzione. (Image credits: NASA, ESA, CSA, and L. Hustak (STScI); Science: The JWST Transiting Exoplanet Community Early Release Science Team)
Autore: Stefano Schirinzi (Centro Studi Astronomici Antares Trieste) 26 agosto 2022
Questa splendida immagine ripresa dal nostro bravissimo fotografo Alessandro Cipolat Bares ritrae il cosiddetto "complesso nebulare di ρ Ophiuchi". La stella in questione è la più luminosa presente nel campo, poco sopra il centro. Visibile ad occhio nudo come una singola stella di magnitudine 4,63, ρ Ophiuchi è in realtà un sistema stellare binario, lontano 360 anni-luce dal Sistema Solare. La foto non deve trarre in inganno: la componente secondaria del sistema è separata dalla principale da 3" d'arco, valore che rende necessario un telescopio per poterla discernere. Le due componenti distano tra loro circa 400 UA ed completano un orbita attorno al comune centro di massa in circa 2.400 anni. Entrambe stelle di sequenza principale di tipo spettrale B2 (22.400 K), possiedono valori di massa e luminosità poco differenti: la componente principale ben 13 mila volte più luminosa del Sole e quasi 10 volte più massiccia. Queste stelle massicce sono nate all'interno della cosiddetta Associazione Scorpius Centaurus OB, composta da astri molti massicci. Le altre due stelle, quelle visibili nella foto, le quali formano un piccolo triangolo con ρ Ophiuchi sono ancora più lontane della stessa: rispettivamente, HD147888, la componente a sud, lontana 445 anni-luce, e HD147932, quella situata a nord, lontana 420 anni-luce dal Sistema Solare. La quantità di polveri nella zona è tale che la luminosità di ρ Ophiuchi è di almeno 1,45 magnitudini più debole di quanto, altrimenti, apparirebbe; inoltre, gas e polveri sono causa dello scattering della luce a frequenze più alte, effetto che apporta un arrossamento - valutato con la differenza tra magnitudine della stella nel blu e quella nel visuale - pari a 0,47 magnitudini. Le nebulose che avvolgono ρ Ophiuchi e la stella di 8a grandezza HD147889, situata più in basso, risplendono di un bellissimo colore azzurro. Si tratta di classici esempi di nebulose "a riflessione", nubi di polvere interstellare che riflettono la luce di stelle vicine la cui energia è insufficiente per ionizzare il gas nebulare portandola, così, a risplende. Tuttavia, lo scattering della luce - fenomeno di interazione tra la radiazione stellare e la materia, che porta onde e particelle a cambiare traiettoria a causa delle collisioni - è sufficiente a rendere visibile la polvere stessa: lo spettro di frequenza mostrato di queste particolari nebulose a riflessione è, di conseguenza, simile a quello delle stelle che le illuminano. Tra le particelle microscopiche responsabili dello scattering ci sono composti di carbonio e di altri elementi come ferro e nichel; questi ultimi, in particolare, allineandosi col campo magnetico galattico, rendono la luce delle nebulose a riflessione leggermente polarizzata.
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